Lo spunto indiano per trattare il “dolce” Occidente della ripresa economica e la sua glicemia nel corso dei decenni
In uno dei suoi più famosi libri, Il Notturno Indiano, Antonio Tabucchi descrive il viaggio in prima persona del protagonista del libro alla ricerca del suo amico portoghese, disperso in India.
A Bombay incontra un medico cardiologo, che lo ammonisce su una cosa alquanto curiosa, ovvero che in India si può morire di moltissime malattie, ma sono ben poche le malattie cardiache, a differenza di noi che viviamo nel mondo occidentale.
Ma allora, questo medico cardiologo indiano, cosa aveva da ridire al nostro protagonista?
Negli anni ’80 si cominciava a prendere coscienza anche in Occidente, di alcune questioni fondamentali come l’uomo e il suo benessere, tra cui quella italiana che abbracciò in toto la spensieratezza dell’american life-style.
Se parliamo di benessere, non possiamo non menzionare anche una questione che a quel tempo cominciava a interessare la maggior parte della società: la dieta.
La grande vicinanza con la cultura americana del tempo, causò un cambiamento delle abitudini quotidiane che portarono, volendo usare uno slogan, a chiamare il cibo, food: panini, bibite gassate, dolciumi zuccherati e tutto ciò che la cultura street americana poteva portare, cambiò le nostre abitudini alimentari, oltre ad un’esplosione del consumo dei prodotti surgelati, che da 20g pro-capite nel 1960, si arrivò addirittura ai 6 Kg a persona del 1987.
Dolcificanti, coloranti, additivi che hanno reso un culto alcuni cibi pret a manger del tempo, hanno inesorabilmente cambiato anche il quadro clinico dell’assimilazione di questi nuovi prodotti, portando proprio dagli anni 80 a raddoppiare in trent’anni il numero di obesi in Italia e in Europa.
Sindromi legati a dei disturbi dell’alimentazione, come l’eccesso di alcune sostanze nel nostro corpo e che in alcuni casi possono alterare il ciclo ormonale di ognuno di noi, ha inevitabilmente portato all’insorgere di alcune problematiche che si legano alla sfera cardio-vascolare, ad alcune funzioni del fegato, e così via.
Tuttavia, senza scadere nell’esterofilia tipica degli anni 80, la risposta a tutte le problematiche legate all’alimentazione l’abbiamo sempre avuta in casa; tante volte uno guarda sempre al di fuori, quando invece basterebbe vedere la punta dei piedi. Anzi, in questo caso, dello Stivale.
La storia di questo “asso” contro le cattive abitudini nasce da lontano, più o meno all’inizio degli anni ’60, quando Ancel Keys, biologo e nutrizionista americano, inviato al seguito delle truppe durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia, si occupò per conto del Ministero di un ampio programma sull’alimentazione.
Durante il suo soggiorno italiano partecipò ad un “Convegno sull’Alimentazione”, che si tenne a Roma nei primi anni 50, e rimase folgorato dalla bassa incidenza di disturbi gastrointestinali e patologie cardiovascolari nella regione della Campania e dell’isola di Creta.
Secondo Keys esisteva una correlazione tra i due luoghi, e iniziò uno studio pilota volto a “chiarire” questo piccolo mistero. Prese in esame perciò un campione di analisi della popolazione locale sia di un paese in Calabria, Nicotera, che di uno nel Cilento, Pioppi, dove prese residenza e instaurò il suo “quartier generale”. Dopo decenni di ricerche giunse alla conclusione che l’alimentazione a base di pane, pasta, frutta, verdura, molti legumi e grassi in giusta misura come l’olio, aggiunte a poca carne e più pesce, fosse la “responsabile” dell’effetto benefico sulle popolazioni locali: le ricerche epidemiologiche sulle malattie cardiovascolari avevano rivelato che la longevità delle popolazioni del Meridione italiano, della Calabria, della Sardegna e delle Marche si spiegava con le abitudini alimentari, i costumi sociali e le produzioni locali.
Questo tipo di alimentazione venne etichettato come “Mediterranean Diet” e venne resa divulgativa nel suo libro “Eat Well and Stay Well”, un volume che fece molto scalpore negli USA.
La dieta fu riconosciuta come Patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO nel novembre 2010, grazie alle pratiche tradizionali, alle conoscenze e alle abilità che sono state tramandate di generazione in generazione in molti paesi mediterranei, fornendo alle comunità un senso di appartenenza e di continuità. L’iscrizione è stata approvata dal Comitato Intergovernativo della Convenzione Unesco sul Patrimonio Culturale Immateriale.
La candidatura transnazionale di Italia, Spagna, Grecia e Marocco ha portato all’approvazione del riconoscimento nel 2010, che è stato successivamente esteso anche a Cipro, Croazia e Portogallo nel 2013.
Essa non è solo una lista di alimenti o una tabella nutrizionale, ma uno stile di vita che include una serie di competenze, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni legati alla coltivazione, alla raccolta, alla pesca, all’allevamento, alla conservazione, alla cucina e soprattutto alla condivisione e al consumo di cibo. La cultura dell’ospitalità, del vicinato, del dialogo interculturale e della creatività si coniugano con il rispetto del territorio e della biodiversità, creando un forte senso di identità culturale e di continuità delle comunità nel bacino Mediterraneo.
La denominazione “Dieta Mediterranea” è stata coniata a metà degli anni Settanta per identificare non solo un decalogo di regole alimentari, ma uno stile di vita tradizionale che Keys aveva scoperto e studiato nel Mediterraneo fin dagli anni Cinquanta.
Oggi, la Dieta Mediterranea è un modello per affrontare le sfide degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 e della nuova strategia Farm to Fork Europea per la riduzione degli impatti ambientali dell’agroalimentare. È vista come un sistema per costruire un futuro sostenibile che parte dal locale per agire su scala globale, con un’attenzione particolare all’educazione e alle nuove generazioni.
Avere un’educazione alimentare e sapere come mangiare, è la quasi totalità del benessere quotidiano di una persona. In tempi non sospetti, un antico adagio asseriva che
“Siamo quello che mangiamo”.
UnitelmaSapienza propone un master di II livello “Approccio Multidisciplinare ai Disturbi del Comportamento Alimentare e Obesità”, che indirizza gli studenti a comprendere, come fece Keys tempo addietro, i valori e i modi migliori per vivere sano e vivere bene.
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