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L’Oki dell’antichità e un collirio prodigioso: due esempi della medicina del passato

Qualche tempo fa ha destato la curiosità della comunità scientifica la scoperta del “Collirio di Bald”, un rimedio riportato in un manoscritto della British Library che veniva usato per curare le infezioni agli occhi composto da aglio, cipolla, vino e bile di stomaco di mucca.
Quella che sembra una pozione da Amelia è contenuta in uno dei primi testi di medicina conosciuti, il Bald’s Leechbook, che riporta rimedi, unguenti e trattamenti di più di mille anni fa.
Tra tutte, questo collirio, che ha preso il nome del manoscritto, di cui era riportato anche il procedimento per la preparazione e accortezze varie, come mettere la soluzione in infusione in un vaso d’ottone a purificare per nove giorni.
Testato in laboratorio, nessuno dei ricercatori poteva aspettarsi che effettivamente la soluzione può curare si l’orzaiolo, ma anche combattere un superbatterio odierno.

MRSA, o Stafilococco aureo meticillino-resistente, è un batterio che resiste, come suggerisce il nome, a farmaci antibiotici come le penicilline e le cefalosporine, che può diffondersi attraverso contatto diretto e manifestare sintomatologie febbrili e infettive, talvolta molto pericolose per l’essere umano.
Il collirio di Bald si è dimostrato estremamente efficace contro il superbatterio, cancellandolo nelle sperimentazioni in laboratorio. Questo inaspettato scenario ha aperto studi appositi sul quale processo si attiva quando la soluzione entra in contatto con l’MRSA, che è tutt’ora in fase di studio.

Questo ci suggerisce che gli antichi avevano davvero super pozioni che sconfiggevano tutte le malattie? Non proprio.
Sappiamo per certo che il rimedio più acclarato, la panacea contro tutti i mali che si è tramandata fino al ‘600 era la triaca, inventata da Mitridate IV, re del Ponto, nel lontano I secolo a.C. che temendo di essere avvelenato dai nemici, commissionò al proprio medico personale un rimedio per sconfiggere qualsiasi veleno.
Potremmo con ironia trovare un nesso con un farmaco piuttosto diffuso come l’OKI, che mai come negli ultimi periodi è diventata una sorta di panacea contro i più disparati mali comuni che possono insorgere nella nostra quotidianità.
Questo è il nome commerciale di un farmaco antinfiammatorio commercializzato nella nostra penisola dalla Dompè. È un medicinale usato nella formulazione in bustine che ha soppiantato negli ultimi anni l’Aulin, un antinfiammatorio a base di nimesulide che veniva usato per qualunque piccolo problema che era ritenuto di un principio attivo più invasivo rispetto all’OKI.
Il principio attivo del farmaco della Dompè è il ketoprofene, un farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS, ovvero che non è un cortisone) simile all’ibuprofene (pensate al Brufen o al Moment) che è in grado di ridurre gli stati infiammatori associati al dolore e l’eventuale febbre del paziente.

Quello che può rendere pericolosa l’assunzione prolungata del farmaco è il sovradosaggio del ketoprofene, che può provocare vari effetti collaterali anche importanti, così come creare danni allo stomaco essendo gastrolesivo.

Quali sono le differenze con la triaca?
Sicuramente nell’antichità non era ancora stato etichettato il ketoprofene, perciò questo OKI d’antan comprendeva estratti di 50 piante (tra cui mirra, timo, succo d’acacia, incenso, anice e cannella) arrivando a una lucertola senza zampe, il tutto miscelato con miele per renderlo bevibile.

Se già richiedeva coraggio bere l’intruglio alla corte del re ellenico, fece ancora “meglio” il medico Andromaco, che duecento anni dopo su ordine di Nerone, che nutriva la stessa paura di essere avvelenato, chiese un perfezionamento della ricetta originale, e ne venne fuori la cosiddetta “Teriaca Magna”, che contava 10 ingredienti in più tra cui oppio e carne di serpente.
Elogiata anche da Galeno, che dopo Ippocrate fu la più influente figura della medicina, accrebbe sempre più il suo successo.
Di base, la triaca si pensava fosse la soluzione a qualunque disturbo o malessere, e se non era in grado di curarlo, probabilmente il problema era da ricondurre a magia o cause sovrannaturali.
Subì una battuta d’arresto solo nel 1630 quando si palesò la sua inefficienza contro la grande epidemia di peste che ebbe come fulcro Venezia, ma che si espanse in tutto il Nord Italia.

La parola fine al mito della triaca lo pose il medico londinese William Heberden, che in un trattato del XVIII secolo la etichettò come una soluzione che “fa solo sudare un po’”, portandola alla progressiva sparizione.
L’unico elemento che a posteriori era davvero efficace, era l’oppio, che è in grado di alleviare il dolore, lenire la tosse e ridurre l’ansia, pur non combattendo però, alcun veleno; l’ingrediente più etnico della soluzione, ovvero la carne di vipera, non aveva invece alcun effetto terapeutico.

La medicina dell’antichità è un affascinante compendio di credenze e superstizioni, che però hanno posto le basi per una sempre più costante ricerca del benessere dell’uomo, attraverso espedienti strampalati fino ad arrivare al complesso mondo che è oggi e che è in continua evoluzione.
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