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Dove nasce la civiltà e dove cambia: il diritto come cartina tornasole della nostra società

L’antropologa Margaret Mead, una volta rispose ad una domanda dove le si chiedeva quale potesse essere uno dei primi esempi di civiltà in una cultura antica, con “Un femore rotto e poi guarito”.

Secondo la Mead, un evento così invalidante risolto con la guarigione è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi, sostenendo che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia.

Viene da sé che la creazione di una comunità, che si basa sul reciproco aiuto e la sopravvivenza, che poi diventa un’organizzazione in tribù arrivando a stanziarsi in alcuni luoghi, porti anche ad una creazione di alcune regole che hanno il fine di mantenere la pacifica convivenza, che armonizzi gli interessi primari in base a quelli collettivi.

Da sempre l’individuo ha voluto ed ha avuto bisogno di tessere una fitta rete di rapporti con i propri simili, accettando e rispettando delle regole per convivere in serenità.
Quindi, dove c’è la civiltà, si può presupporre che ci sarà anche un insieme di regole. Come dice la massima latina, “ubi homo, ibi societas, ubi societas, ibi ius” (dove esiste l’uomo, vi è la società, dove vi è la società, li vi è anche il diritto), il diritto diventa perciò la migliore tecnica di regolamentazione sociale.
Nella vita organizzata in società, serve a fissare delle regole che tutti sono tenuti a rispettare al fine di garantire una coesistenza sicura, ordinata e pacifica.
Il diritto, perciò, ha accompagnato da sempre l’evoluzione dei bisogni e delle istituzioni umane, diventando anche una cartina tornasole degli usi e dei costumi del tempo, e talvolta anche testimone dei grandi eventi storici.

Come uno molto importante della nostra penisola, intorno al 949.
Aligerno diventa abate di Montecassino e di Capua, dove in quest’ultima vi si trovava la comunità monastica benedettina in esilio, dopo che l’Abbazia di Montecassino fu distrutta dai saraceni nell’883.
Aligerno riuscì a ricondurre la propria comunità a Montecassino, ma nel frattempo quei territori erano stati occupati da un certo Rodelgrimo di Lupo da Aquino, contro il quale Aligerno cercò di far valere i propri diritti. L’aquinese contestava la proprietà cassinese sulle due terre in questione che occupavano quasi 20.000 ettari, ed affermava che i due terreni (facenti parte della Terra Sancti Benedicti) erano stati ereditati dal padre e da altri suoi parenti.

Alla fine, Arechisi, lo iudex cibitatis Capuane (Giudice della città di Capua) deliberò a favore di Aligerno, dopo che tre chierici chiamati a testimonianza, deposero a favore dell’Abbazia ripetendo che quelle terre erano state possedute per trent’anni dall’Abbazia di San Benedetto, smascherando l’assenza di veridicità della storia di Rodelgrimo.

Il parere di Arechisi, che era chiamato placito, è uno dei documenti giuridici ad oggi più importanti per il nostro paese, perché a questo documento si fa risalire la nascita dell’italiano, o per meglio dire, della sua forma primordiale, il volgare.

La famosa litania riportata nel placito (Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti) fu trascritta non usando il latino, ma riportando fedelmente il parlato dei tre chierici, portando la prima testimonianza di un distacco dalla lingua classica e della nascita di una nuova forma di linguaggio.

Il diritto e le leggi che l’uomo si è imposto per la sua pacifica convivenza spesso sono stati al centro dei cambiamenti della società stessa, e sono perciò legate a doppio filo con la storia e con quello che siamo oggi.

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