L’Impatto del Commercio Internazionale di Abbigliamento di Seconda Mano sull’Ambiente e sulla Società: Un’Analisi Completa e Proposte per una Transizione Sostenibile

Nell’articolo: “Second-hand clothing trade: achieving circular economy in the fashion sector through international cooperation” gli autori  Ana Gabriela Encino-Munoz e Piergiuseppe Morone indagano l’impatto sociale ed ambientale del commercio internazionale dell’abbigliamento di seconda mano.

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Nel contesto attuale di crescente preoccupazione per il degrado ambientale e l’esaurimento delle risorse naturali, il modello prevalente di consumo basato sull’usa-e-getta rappresenta una minaccia per l’equilibrio globale.

Gli autori, nella loro analisi, evidenziano come numerosi studi abbiano indicato il settore della moda come uno dei principali contributori all’inquinamento atmosferico e idrico, oltre che alla produzione di rifiuti.

Pertanto la moda, con il suo impatto ambientale e sociale rilevante, è un settore chiave su cui concentrare gli sforzi di sostenibilità. Tuttavia, pratiche insostenibili lungo l’intera catena, insieme alla crescente domanda dei consumatori e al fenomeno della Fast e dell’Ultra fashion, hanno esacerbato i problemi legati alla produzione e allo smaltimento dei capi d’abbigliamento.

Sebbene l’Unione Europea abbia riconosciuto l’industria tessile come un settore prioritario per l’adozione di pratiche circolari, data la sua intensità di risorse e il potenziale di circolarità, la transizione verso un’industria tessile circolare è ostacolata da numerosi fattori, tra i quali gli autori evidenzialo il commercio internazionale di abbigliamento di seconda mano.

L’analisi condotta ha rivelato che il commercio di abbigliamento di seconda mano presenta un flusso predominante dal Nord al Sud del mondo: mentre i paesi del Nord spesso donano o vendono abbigliamento usato, i paesi del Sud ne ricevono una grande quantità. Di questa mole di abiti di seconda mano, una porzione considerevole finisce in discarica generando un’elevata produzione di rifiuti e un impatto ambientale significativo.

Gli autori evidenziano anche alcuni benefici legati all’esportazione degli abiti di seconda mano nel Sud del mondo: da una parte l’accessibilità economica dei capi d’abbigliamento e dall’altra l’indotto in termini di posti di lavoro legati al loro smercio. Le importazioni di abbigliamento di seconda mano, tuttavia, hanno d’altro canto danneggiato le economie tessili locali, contribuendo al declino della produzione e dell’occupazione in alcuni paesi.

È evidente la necessità di politiche e azioni volte a promuovere un commercio internazionale di abbigliamento di seconda mano equo e sostenibile. I governi devono garantire politiche commerciali che favoriscano la sostenibilità e l’equità, stabilendo condizioni e regolamentazioni per un commercio positivo e responsabile. Inoltre, i mercati devono coinvolgere i consumatori e i marchi nella promozione di pratiche più sostenibili, mentre le ONG possono svolgere un ruolo fondamentale nel monitoraggio e nell’implementazione di azioni responsabili lungo l’intera catena.

In conclusione, gli autori auspicano l’implementazione di un’immediata azione coordinata a livello globale  per affrontare le sfide poste dal commercio internazionale di abbigliamento di seconda mano.

Solo attraverso un impegno congiunto di governi, mercati e organizzazioni della società civile possiamo sperare di realizzare una transizione verso un’industria tessile più equa, circolare e sostenibile.